In Articoli,il parroco scrive

Lettera alle Confraternite

Carissimi,

come sapete nei mesi scorsi il Vescovo mi ha incaricato di seguire più da vicino la vostra vita ed il vostro cammino nominandomi padre spirituale delle Arciconfraternite dei Servi di Maria e di Santa Monica e chiedendomi di accompagnare allo stesso tempo anche l’esperienza dell’Arciconfraternita del Rosario (che conserva come suo Padre spirituale il buon don Salvatore Iovino che custodiamo con la nostra fraterna preghiera). Si consolida sempre di più la prassi, avviata da tempo in altre parrocchie della nostra Diocesi, che vuole che il parroco sia allo stesso tempo Padre spirituale delle confraternite laicali presenti ed operanti nel territorio della comunità parrocchiale a lui affidata, questo per rafforzare e rendere sempre più fecondo il legame tra queste aggregazioni laicali e l’intera comunità parrocchiale. Ho provato a proporre soluzioni diverse, anche per non gravare ulteriormente il mio ministero di ulteriori impegni, ma alla fine ho accolto l’indicazione del Vescovo confidando che questa scelta gioverà a tutta la comunità. Con l’aiuto del vice parroco speriamo di potervi assicurare la giusta vicinanza e un’auspicata conversione pastorale dei nostri cammini.

Ad un padre spirituale si chiede che celebri l’Eucarestia domenicale? Certamente si, quando è nella condizione di farlo (vi ricordo che “di norma il sacerdote non può celebrare più di una volta al giorno; per giusta causa con l’autorizzazione scritta dell’Ordinario, il sacerdote può celebrare due volte nei giorni feriali e tre nelle domeniche e nelle feste di precetto” cf. CJC, can. 905). E si chiede solo questo? Certamente no! Immagino che i vostri stessi statuti indichino una serie di compiti del padre spirituale che non ne riducono la funzione ed il servizio alle sole celebrazioni liturgiche domenicali e festive (peraltro momenti fondanti e culminanti della vita di ciascun confratello senza i quali non avrebbe senso nemmeno l’appartenenza alla stessa confraternita; mi chiedo: che senso ha far parte di una confraternita se non si avverte il desiderio di incontrare i propri confratelli nella celebrazione della Messa domenicale?). Proprio per superare l’idea, purtroppo in alcuni consolidata, che il padre spirituale di una confraternita debba solo celebrar Messa vorrei iniziare con voi un dialogo, anche attraverso questa lettera, che spero aiuti a chiarire il nostro rapporto nei prossimi anni.

A partire da questa esigenza di dialogare con voi e di offrire spunti per un proficuo percorso formativo vorrei consegnarvi alcune semplici indicazioni; lasciandomi aiutare da Papa Francesco vi affido alcune provocazioni che interpellano il nostro cammino di credenti e la vostra storia confraternale. Vorrei chiedermi con voi, così semplicemente, cosa il Signore ci chiede di fare; dove ci chiede di farlo; come, con quali modalità provare a dare un sì convinto e pieno alla Sua volontà. Ancora, un accenno sui tempi del nostro camminare. E infine una parola sullo stile della cura dei fratelli che deve animare la nostra partecipazione alla vita del sodalizio e soprattutto la responsabilità di chi in esso è chiamato ad un servizio particolare, quale è quello dell’ “amministratore”.

Cosa siamo chiamati a fare?

Incrociare…potrebbe essere questa una parola chiave per vivere intensamente e senza finzioni la nostra vita cristiana. Incrociare la storia, le persone che la abitano , la vivono, la soffrono; incrociare gli sguardi, soprattutto quelli che abitualmente e ostinatamente evitiamo; incrociare le situazioni che ci passano davanti, ci sfiorano e ci provocano, i frammenti di vita segnati dal dolore e dalla stanchezza. E lasciarsi incrociare dagli uomini e dalle donne che attraversano le nostre stesse strade, lasciarsi incrociare – cioè lasciarsi “mettere in croce” – dalla pena e dalla sofferenza che portano perché questo fardello non gravi troppo su spalle stanche e sfinite. Come Simone di Cirene, vera icona del pellegrino che in processione si carica del peso della croce, stiamo sulla strada non avendo paura di incrociare e lasciarci incrociare dall’uomo, dal povero Cristo che passa, ci guarda, ci chiama… Lasciamo parlare Papa Francesco:

“Invito ogni cristiano, in qualsiasi luogo e situazione si trovi, a rinnovare oggi stesso il suo incontro personale con Gesù Cristo o, almeno, a prendere la decisione di lasciarsi incontrare da Lui, di cercarlo ogni giorno senza sosta. Non c’è motivo per cui qualcuno possa pensare che questo invito non è per lui, perché «nessuno è escluso dalla gioia portata dal Signore». Chi rischia, il Signore non lo delude, e quando qualcuno fa un piccolo passo verso Gesù, scopre che Lui già aspettava il suo arrivo a braccia aperte. Questo è il momento per dire a Gesù Cristo: «Signore, mi sono lasciato ingannare, in mille maniere sono fuggito dal tuo amore, però sono qui un’altra volta per rinnovare la mia alleanza con te. Ho bisogno di te. Riscattami di nuovo Signore, accettami ancora una volta fra le tue braccia redentrici». Ci fa tanto bene tornare a Lui quando ci siamo perduti! Insisto ancora una volta: Dio non si stanca mai di perdonare, siamo noi che ci stanchiamo di chiedere la sua misericordia. Colui che ci ha invitato a perdonare «settanta volte sette» (Mt 18,22) ci dà l’esempio: Egli perdona settanta volte sette. Torna a caricarci sulle sue spalle una volta dopo l’altra. Nessuno potrà toglierci la dignità che ci conferisce questo amore infinito e incrollabile. Egli ci permette di alzare la testa e ricominciare, con una tenerezza che mai ci delude e che sempre può restituirci la gioia. Non fuggiamo dalla risurrezione di Gesù, non diamoci mai per vinti, accada quel che accada. Nulla possa più della sua vita che ci spinge in avanti!” (Evangelii Guadium, 3)

Dove è chiamato a svolgersi il nostro impegno?

Dove incrociare il povero Cristo? Dove lasciarsi incontrare da Lui? Dove trovarlo e quali sono le strade da attraversare e da percorrere nella ferialità, nella vita di tutti i giorni e nello scorrere quotidiano di una storia se non i luoghi che abitiamo, quelli a noi più familiari e più vicini? Come la nostra comunità parrocchiale… Quest’anno abbiamo iniziato insieme la Quaresima con il rito dell’imposizione delle Ceneri e insieme abbiamo celebrato il culmine di tutta la vita di un cristiano nella Veglia Pasquale in Cattedrale. É bello questo segno di disponibilità dinanzi alla proposta e all’invito a celebrare questi momenti cruciali del nostro cammino di fede nella chiesa madre della nostra comunità parrocchiale. Sarà ancora più bello riscoprire la parrocchia come lo spazio dove ci si sente a casa e dove è necessario far sentire a casa anche i tanti che non condividono i nostri cammini, non frequentano le nostre chiese, le nostre aggregazioni, i nostri riti. Sono tanti, veramente tanti! Ma sono parte della nostra comunità parrocchiale. Come lo sono quanti, come voi, hanno deciso di vivere la loro testimonianza cristiana in una confraternita laicale, non per tradizione ma per scelta. Una scelta consapevole e libera, oltre che coraggiosa per certi aspetti, che vi chiede di partecipare attivamente alla vita della Chiesa sentendovi a casa nella vostra parrocchia. Ancora Papa Francesco:

“La parrocchia non è una struttura caduca; proprio perché ha una grande plasticità, può assumere forme molto diverse che richiedono la docilità e la creatività missionaria del pastore e della comunità. Sebbene certamente non sia l’unica istituzione evangelizzatrice, se è capace di riformarsi e adattarsi costantemente, continuerà ad essere «la Chiesa stessa che vive in mezzo alle case dei suoi figli e delle sue figlie». Questo suppone che realmente stia in contatto con le famiglie e con la vita del popolo e non diventi una struttura prolissa separata dalla gente o un gruppo di eletti che guardano a se stessi. La parrocchia è presenza ecclesiale nel territorio, ambito dell’ascolto della Parola, della crescita della vita cristiana, del dialogo, dell’annuncio, della carità generosa, dell’adorazione e della celebrazione. Attraverso tutte le sue attività, la parrocchia incoraggia e forma i suoi membri perché siano agenti dell’evangelizzazione. È comunità di comunità, santuario dove gli assetati vanno a bere per continuare a camminare, e centro di costante invio missionario. Le altre istituzioni ecclesiali, comunità di base e piccole comunità, movimenti e altre forme di associazione, sono una ricchezza della Chiesa che lo Spirito suscita per evangelizzare tutti gli ambienti e settori. Molte volte apportano un nuovo fervore evangelizzatore e una capacità di dialogo con il mondo che rinnovano la Chiesa. Ma è molto salutare che non perdano il contatto con questa realtà tanto ricca della parrocchia del luogo, e che si integrino con piacere nella pastorale organica della Chiesa particolare. Questa integrazione eviterà che rimangano solo con una parte del Vangelo e della Chiesa, o che si trasformino in nomadi senza radici.” (Evangelii Gaudium, 28 e 29)

Come provare a camminare insieme e per quali vie?

Siamo chiamati tutti a percorrere, anche in questo senso, un sincero cammino di rinnovamento e di conversione. Se vogliamo veramente incontrare e incrociare il povero Cristo dobbiamo essere pronti anche a cambiare i nostri linguaggi. Pronti a chiederci come provare a camminare nella sequela del Signore crocifisso e risorto insieme ai tanti fratelli e sorelle incontrati e incrociati per strada. Papa Francesco ci ricorda che “la pastorale in chiave missionaria esige di abbandonare il comodo criterio pastorale del “si è fatto sempre così”. Invito tutti ad essere audaci e creativi in questo compito di ripensare gli obiettivi, le strutture, lo stile e i metodi evangelizzatori delle proprie comunità. Una individuazione dei fini senza un’adeguata ricerca comunitaria dei mezzi per raggiungerli è condannata a tradursi in mera fantasia.” (Evangelii Gaudium, 33)
Con passione e con franchezza registro il fatto che alcuni confratelli, con modalità non sempre corrette che hanno sistematicamente evitato un confronto diretto e sincero, hanno espresso la preoccupazione di un possibile ridimensionamento della vita delle confraternite. Con una carica d’ansia particolare e per certi aspetti eccessiva, hanno espresso la propria preoccupazione circa il “pericolo” che alcune consuetudini e tradizioni potessero scomparire (la messa domenicale, le processioni, il mese di maggio, il coro del Miserere, ec.) o essere “assorbite” dalla pretesa della parrocchia di ridimensionare le realtà in essa esistenti. Vorrei rassicurare, e per certi aspetti sfidare e provocare questi amici e tutti quanti voi: la vita e l’attività delle vostre confraternite dovrà ampliarsi e non ridimensionarsi! Soprattutto dovrà ampliarsi e crescere sul versante della evangelizzazione, della missionarietà e della testimonianza della carità tra i più piccoli del nostro territorio. “La pastorale in chiave missionaria esige di abbandonare il comodo criterio del ‘si è fatto sempre così'” ci ricorda Papa Francesco… Occorre fare di più e farlo con modalità nuove, più rispondenti alle attese della nostra gente in questo tempo. Immagino che questa sia anche l’attesa di diversi confratelli giovani e meno giovani che accusano un po’ di stanchezza per i rituali logori e in affanno delle nostre consuetudini, che sono altra cosa rispetto alla Tradizione della Chiesa. Ci si rende conto che tante nostre iniziative, se ci va bene, raccolgono ed intercettano
sempre le stesse persone? Ci si accorge che tanta gente, tanta parte delle nostre comunità non comprende più certi linguaggi, non si sente compresa da alcuni rituali, non riesce ad essere partecipe del nostro camminare? Credete voi che il gran numero di uomini (perché solo uomini?) che partecipa alle nostre processioni della settimana santa sia indicativo di un’attenzione alla vita delle confraternite? Come i discepoli di Emmaus dopo la Pasqua si allontanano da Gerusalemme, se ne vanno via senza aver compreso quello che è accaduto in quei giorni santi e drammatici, rientrano nella tristezza di una quotidianità spesso insignificante e non si accorgono che Gesù, il vivente, il crocifisso risorto continua a camminare al loro fianco. Perché, passato il giorno di Pasqua, “scompaiono” dalle nostre chiese, dalle nostre celebrazioni? Perché non li vediamo più la domenica, nel Giorno del Signore? Perché, a differenza dei discepoli di Emmaus, non tornano a Gerusalemme? Forse perché noi non riusciamo a parlar loro efficacemente del Cristo, della sua vita, della sua morte e soprattutto della sua Resurrezione. Dobbiamo farci coraggio ed esplorare nuove vie, nuovi linguaggi, nuove opportunità, non quelle che la nostra fantasia un po’ assopita riuscirà ad inventarsi ma quelle che lo Spirito vorrà suggerirci. A Lui con docilità vogliamo prestare ascolto e incamminarci con un rinnovato desiderio di seguire il Cristo…dovunque Egli vada!

“Usciamo, usciamo ad offrire a tutti la vita di Gesù Cristo. Ripeto qui per tutta la Chiesa ciò che molte volte ho detto ai sacerdoti e laici di Buenos Aires: preferisco una Chiesa accidentata, ferita e sporca per essere uscita per le strade, piuttosto che una Chiesa malata per la chiusura e la comodità di aggrapparsi alle proprie sicurezze. Non voglio una Chiesa preoccupata di essere il centro e che finisce rinchiusa in un groviglio di ossessioni e procedimenti. Se qualcosa deve santamente inquietarci e preoccupare la nostra coscienza è che tanti nostri fratelli vivono senza la forza, la luce e la consolazione dell’amicizia con Gesù Cristo, senza una comunità di fede che li accolga, senza un orizzonte di senso e di vita. Più della paura di sbagliare spero che ci muova la paura di rinchiuderci nelle strutture che ci danno una falsa protezione, nelle norme che ci trasformano in giudici implacabili, nelle abitudini in cui ci sentiamo tranquilli, mentre fuori c’è una moltitudine affamata e Gesù ci ripete senza sosta: «Voi stessi date loro da mangiare» (Mc 6,37).” (Evangelii Gaudium, 49)

Quando…da quali tempi e ritmi dovrà essere scandito il nostro cammino nel prossimo futuro

Permettetemi ora di soffermarmi un attimo sul quando, vale a dire sui tempi nei quali deve distendersi il nostro cammino. I nostri tempi. I tempi di Dio sono una cosa diversa dal tempo di ciascuno di noi. “Gli anni della nostra vita sono settanta, ottanta per i più robusti. Quasi tutti sono fatica e dolore; passano preso e noi ci dileguiamo” così recita il Salmo 89. Confesso che mi fa sorridere la querelle che di tanto in tanto torna a galla sulla data di fondazione del proprio sodalizio (in passato tirata fuori a pretesto anche per stabilire i diritti di “precedenza” o di “successione” nelle processioni!). Immaginate quanto possa far sorridere il buon Dio… Eppure la si è ritenuta una questione così importante da coinvolgere la stessa Curia ed esperti di diritto e di storia… É possibile che una confraternita e la stessa Curia non abbiano altro a cui pensare? Ma, soprattutto, é possibile che non ci si renda conto che la nostra vita è un soffio? Che – come recita il Salmo – mille anni sono come il giorno di ieri che è passato, come un turno di veglia nella notte? Dovremmo renderci conto del fatto che il tempo di ciascuno di noi non è il tempo di Dio e provare ad accogliere questa verità come rassicurante, distensiva, liberante. Già, liberante, capace cioè di liberarci della preoccupazione di voler legare la vita di una comunità alle proprie scelte e ai propri condizionamenti.

Il tempo di Dio è un tempo senza tempo, é l’Eternità alla quale chiama anche noi chiedendoci di oltrepassare i limiti della nostra natura mortale e delle nostre pochezze. Noi facciamo i conti con le scadenze, tutti! Cambiano, e devono cambiare, i parroci, i padri spirituali, i priori, i cerimonieri, i maestri del coro del Miserere, i tesorieri…tutti. E questo ci consente di mettere l’anima in pace, di non fasciarci la testa nell’estenuante pretesa di voler condurre in porto una barca, la Chiesa, che non è la nostra ma è la Chiesa di Cristo.

Anche le scadenze elettive relative agli incarichi dei vostri amministratori devono essere vissute con questa serenità. Nei prossimi mesi sarete chiamati, in due dei vostri sodalizi, a rinnovare il “governo” della vostra confraternita: il vostro discernimento sia sereno, pacifico, rispettoso di tutti e con il senso del limite. Il limite delle persone, di ciascuno di noi; il limite del servizio che vi viene chiesto; il limite del tempo nel quale esso dovrà svolgersi. A nessun priore o amministratore viene chiesto di “consacrare” la propria vita ad una confraternita. Per quanto delicato un incarico del genere chiede che sia vissuto come servizio e senza che si trascurino la propria famiglia, i propri affetti o il proprio lavoro.
Non dimentico i miei limiti, che sono tanti e per i quali chiedo la vostra comprensione, il vostro perdono ed il vostro paziente consiglio, confidando di essere aiutato a crescere nell’esercizio di un ministero delicato tra voi e per voi.

Prendersi cura gli uni degli altri

Se posso permettermi un abbozzo di “campagna elettorale”, vi chiederei di orientare le vostre scelte con la consapevolezza di questi limiti, non considerando tali incarichi come luoghi di impegno in cui si esercita un potere né tantomeno costruendo cordate di appoggio a questo o a quel candidato per puro spirito di contraddizione o, peggio ancora, di ostilità e di polemica. Voi sapete meglio di me quanto questi appuntamenti rischiano di creare delle inutili e pericolose spaccature ed inimicizie che divertono solo il diavolo, la cui mission principale è proprio quella di dividere. Lo spirito con cui si è con(i)fratelli è quello di prendersi cura degli altri; ancora di più questa deve essere la preoccupazione primaria di chi è chiamato ad “amministrare”, cioè a servire una comunità come la vostra.

“All’interno del Popolo di Dio e nelle diverse comunità – ricorda Papa Francesco – quante guerre!… quante guerre per invidie e gelosie, anche tra cristiani! La mondanità spirituale porta alcuni cristiani ad essere in guerra con altri cristiani che si frappongono alla loro ricerca di potere, di prestigio, di piacere o di sicurezza economica. Inoltre, alcuni smettono di vivere un’appartenenza cordiale alla Chiesa per alimentare uno spirito di contesa. Più che appartenere alla Chiesa intera, con la sua ricca varietà, appartengono a questo o quel gruppo che si sente differente o speciale. Ai cristiani di tutte le comunità del mondo desidero chiedere specialmente una testimonianza di comunione fraterna che diventi attraente e luminosa. Che tutti possano ammirare come vi prendete cura gli uni degli altri, come vi incoraggiate mutuamente e come vi accompagnate: ‘ Da questo tutti sapranno che siete miei discepoli: se avete amore gli uni per gli altri’ (Gv 13,35).” (Evangelii Gaudium 98, 99).

Infine…grazie!

L’ultima parola di questa lettera non può che essere un grazie convinto e affettuoso per il vostro esserci. Qualcuno nutre il dubbio, se non il sospetto, che la vostra sia una presenza “sopportata”, personalmente continuo a pensare che prima delle etichette e delle definizioni identitarie dei gruppi e delle comunità ci siano le persone, concrete e fisicamente presenti, fratelli e sorelle di questa comunità, nostri amici e compagni di strada in cammino verso il Regno. Come si fa a non apprezzare il fatto che un numero considerevole di membri della nostra comunità continuano, dopo secoli di storia e di tradizione, ad appassionarsi per una testimonianza cristiana resa ancor più difficile in un tempo di secolarizzazione esasperata, di spegnimento delle tensioni spirituali, di diffusa distrazione e di perdita della sacralità della vita? Ecco perché con convinzione, anche a nome della nostra comunità parrocchiale, vi dico: grazie! Permettetemi però di dire la mia gratitudine, e – credo – non solo la mia, per quanti finora si sono dedicati e si dedicano al servizio delle vostre confraternite; Carlo, Massimo e Tonino, unitamente ai loro collaboratori, lavorano bene, con equilibrio, passione e generosità, e questo va riconosciuto, apprezzato e indicato come atteggiamento e stile da incoraggiare anche per chi sarà chiamato a svolgere questo servizio dopo di loro (per quanto riguarda gli amministratori in imminente scadenza). Aldilà di una dialettica rispettosamente vivace e appassionata il nostro confronto é sempre franco, sincero e reciprocamente accogliente. Riusciamo a parlarci apertamente, in uno sforzo di comprensione reciproca in cui l’unica volontà da seguire con filiale obbedienza é quella del Signore e le uniche spinte da assecondare sono quelle del Suo Spirito, non quelle del parroco né tantomeno quelle di questo o quel confratello.

Parliamo….parliamo tra di noi è facciamolo frequentemente. Non c’è bisogno di fronte ad un possibile ostacolo di ricorrere necessariamente alla polemica o a rivendicazioni lamentose rivolte ad autorità superiori o magari con modalità maldestre espresse all’insaputa degli altri confratelli, finalizzate soltanto a far crescere il malessere e la zizzania. Parliamo, come stiamo facendo regolarmente con Carlo, Massimo, Tonino e gli altri amministratori; ma proviamo a parlare anche d’altro!… Perché non parliamo un po’ di Lui?

Si, parliamo di Dio! Sarebbe bello che il nostro incontrarci sia sempre più segnato dalla volontà di parlare di Dio, e della Sua Sposa la Chiesa, di noi. Parliamo di Lui e di noi e di un rapporto sponsale ancora tutto da scoprire e da gustare. E poi…parliamo con Lui; facciamo dei nostri sodalizi, delle nostre comunità, delle nostre confraternite e, soprattutto delle nostre celebrazioni liturgiche il luogo e lo spazio in cui ci ritroviamo faccia a faccia con Dio, in un dialogo intenso e sincero dal quale non vorremmo staccarci più.
Ecco, è questo l’essenziale verso cui dovrà conv
ergere il cammino della nostra comunità, delle vostre famiglie confraternali: “farsela con Lui”, direbbe Sant’Alfonso, provare l’intenso desiderio di incontrarlo e di stare con lui. “Abbiamo bisogno – ricorda Papa Francesco sempre nella Evangelii Gaudium (n. 264) – di soffermarci in preghiera per chiedere a Lui che torni ad affascinarci. Abbiamo bisogno d’implorare ogni giorno, di chiedere la sua grazia perché apra il nostro cuore freddo e scuota la nostra vita tiepida e superficiale… Che dolce è stare davanti a un crocifisso, o in ginocchio davanti al Santissimo, e semplicemente essere davanti ai suoi occhi!”… E provare a raccontarlo agli altri!

Il Signore ci dia Pace! Vostro fratello in Cristo

Don Carmine

Sorrento, 28 ottobre 2014