“Tutti i fanciulli del mondo canteranno la pace di Dio. Questa frase pronunciata da Mons. F. Maillet, fondatore della Federazione Internazionale dei Pueri Cantores, lasciò nel mio cuore una profonda eco fin dai primi anni di Seminario e fece maturare in me il desiderio di formare un coro di Pueri Cantores a Sorrento”.
Ci piace iniziare così, con le parole del suo fondatore, il compianto don Antonio Izzo, questa pubblicazione per ricordare le nozze d’argento tra i ragazzi e la Musica Sacra. Sono passati venticinque anni da quando don Antonio, nell’ottobre del 1967, si mise all’opera per realizzare il suo grande desiderio, quello di formare un coro di Pueri Cantores. Allora raccolse trenta ragazzi, scegliendoli dalla scuola media del Seminario e anche dalle scuole elementari. Con grande costanza ed impegno i ragazzi incominciarono a provare i canti per la liturgia domenicale, rinunciando a futili svaghi, per dedicare alcune ore settimanali ad imparare i canti. L’entusiasmo dei ragazzi era grande. Né venne meno l’incoraggiamento dei compianti Arcivescovi Mons. Carlo Serena e Mons. Raffaele Pellecchia, che videro sorgere il coro, come pure quello, negli anni successivi, di Mons. Antonio Zama e del suo attuale successore alla Cattedra Episcopale Sorrentina-Stabiese, Mons. Felice Cece. A questo si accompagnò il sostegno, indispensabile, del defunto Parroco don Pietro Maresca e quello di don Pasquale Ercolano, Parroco della Cattedrale. Il coro esordì, se così possiamo dire, in occasione delle Sante Quarantore nella Basilica di Sant’Antonino ed il suo battesimo ufficiale avvenne la notte di Natale, sempre nel 1967, durante la Messa di mezzanotte in Cattedrale, eseguendo la Messa Pastorale a tre voci del M° Can. Francesco Saverio Fiorentino. Da quel lontano Natale iniziò una lunghissima stagione di impegni che ha visto il coro accompagnare il servizio divino non solo in Cattedrale, ma in tutte le Chiese di Sorrento e dell’intera Archidiocesi in occasione delle più importanti festività.
Il 22 novembre 1968, festività di Santa Cecilia, patrona della musica, il coro fu iscritto e affiliato alla “Foederatio Internationalis Pueri Cantores“, con sede a Roma, entrando così a far parte di quell’inesauribile esercito di ragazzi e giovani che in tutto il mondo portano col canto un messaggio di pace, accomunati e affratellati nella lode del Signore. Da allora, ogni anno, si svolge la cerimonia di vestizione di nuovi cantori che vestono per la prima volta l’abito bianco, il cingolo e la croce di legno, segni distintivi del coro. Con l’affiliazione alla Federazione Internazionale il coro ha avuto modo di partecipare a numerosi Congressi Internazionali come quello, in Olanda, a Roma, a Londra, a Vienna, nonché a molti nazionali, come membro dell’Associazione Italiana Santa Cecilia.
Come si diventa un buon cantore?
Rispondiamo con le parole del caro e indimenticato don Antonio: “Buona volontà, musicalità, assiduità e puntualità e, naturalmente, voglia di cantare”. Per incoraggiamento valga la famosa di frase di Sant’Agostino, frase che don Antonio Izzo ripeteva spesso: “Chi canta prega due volte” aggiungendo “e chi bene, tre!”.
Il coro, intanto, dagli iniziali trenta elementi cresceva in qualità e quantità, affinando e migliorando le sue doti musicali, grazie all’abnegazione, la bravura e, perché no, la pazienza di don Antonio. Il coro era divenuto parte integrante della sua vita. Per i cantori egli non era solo la guida musicale, ma anche un maestro di vita, improntata ai valori umani e cristiani, sull’esempio dell’insegnamento di San Giovanni Bosco. Era sempre con il coro nelle attività di tempo libero, nei ritiri spirituali, nelle gite-premio. Padre e amico bonario di tutti, era, però, inflessibile e rigoroso nelle sue funzioni di maestro del coro. La sua severità non era un difetto, ma un pregio se è vero che è valsa a far crescere quell’affiatamento, quel solido vincolo di amicizia e, soprattutto, quell’amore per una istituzione che, dopo venticinque anni dalla costituzione del coro, è ancora viva e vitale. Nel corso di questo quarto di secolo centinaia di ragazzi e di ragazze (entrate a far parte del coro dal 1974), hanno vissuto questa entusiasmante esperienza di vita. Le voci dei soprani e contralti dei primi amici sono diventate, col progredire degli anni, quelle dei tenori e dei bassi. I ragazzi e le ragazze di ieri sono oggi diventati seri e bravi professionisti nella vita, buoni padri e buone madri di famiglia. C’è chi ormai adulto e avendo messo su famiglia, non disdegna di indossare la tunica bianca, il cingolo e la croce di legno per continuare ad elevare al Signore la sua preghiera, marcando, se ce ne fosse il bisogno, ancor di più la sua testimonianza di fede.
A questa gioiosa ricorrenza, a questa festa del canto, non tutti saranno presenti e ciò copre di un velo di tristezza che offusca la gioia di chi sarà presente. Chiamati dal Signore …ai campi eterni, al premio che i desideri avanza… essi sono sempre vivi nel ricordo e nel cuore di tutti i cantori.
LA PROPOSTA EDUCATIVA DEL CORO
Il Coro della Cattedrale di Sorrento nasce nel 1967 dall’esigenza di animare le liturgie nella Chiesa Cattedrale. L’iniziativa, promossa ed animata per molti anni dal compianto Sacerdote Don Antonio Izzo e che ben s’inseriva nei progetti per la pastorale parrocchiale e diocesana, fu subito favorevolmente accolta dal parroco del tempo e dall’intera comunità ecclesiale, confermando così la tradizione che “Il canto sacro è stato lodato sia dalla sacra Scrittura, sia dai Padri, sia dai romani Pontefici; costoro recentemente, a cominciare da S. Pio X, hanno sottolineato con insistenza il compito ministeriale della musica sacra nel culto divino.”
Inizialmente costituito da un gruppetto di ragazzi cantori solo maschi, il Coro ha accolto negli anni numerosi partecipanti, sia giovani sia adulti aprendosi anche alle donne, mossi dal desiderio di offrire un servizio alla Parrocchia e alla Diocesi e compiere insieme un cammino spirituale e culturale, promuovendo, al contempo, lo sviluppo della crescita umana e cristiana attraverso il canto all’interno della parrocchia.
Nel corso di questi anni, l’esistenza di tale realtà ecclesiale – densa di eventi a carattere liturgico e culturale di grande significato, di concerti spirituali, di momenti forti di preghiera e di riflessione, di campi scuola – ha costituito un terreno fertile di crescita personale e comunitaria, sia sotto il profilo culturale, sia sotto quello spirituale; l’intrecciarsi di rapporti umani profondi vissuti nella gioia e nella fede in Cristo hanno permesso che la comunità sia stata anche spesso allietata dal formarsi al suo interno di famiglie, vocazioni sacerdotali e religiose.
In questi 46 anni di vita, il Coro si è sempre distinto e caratterizzato per l’accoglienza, il sostegno e la fraternità nei confronti di coloro che hanno voluto parteciparvi o anche semplicemente entrarvi in contatto.
Dopo aver avuto diverse denominazioni oggi il Coro sceglie di chiamarsi
CORO DELLA CATTEDRALE DI SORRENTO
fondato nel 1967 da Don Antonio Izzo
UNA REGOLA DI VITA PER IL CORO
Vivere con entusiasmo la realtà ecclesiale del Coro, nel rispetto del suo carisma, delle sue finalità e, cioè in senso pienamente cristiano, significa:
Crescere con la musica nella celebrazione e animazione della liturgia attraverso i seguenti impegni:
Crescere spiritualmente e culturalmente attraverso i seguenti impegni:
Crescere comunitariamente in senso cristiano attraverso l’impegno della:
Per questo a partire dall’Avvento 2013, inizio di un nuovo Anno Liturgico, ciascun corista si impegna a seguire le seguenti
Regole per la vita del Coro
c) avere una predisposizione al canto.
IL RICORDO DI DON ANTONIO

“Questa pietra di scandalo per tanti spiriti ribelli, il prete (…) costituisce in mezzo a noi il segno sensibile della presenza del Cristo vivo. (…) Uomini ordinari, simili a tutti gli altri, chiamati a diventare il Cristo quando levano la mano sulla fronte di un peccatore che confessa i suoi peccati e domanda perdono, o quando prendono il pane fra le mani “sante e venerabili”, o quando alzano il calice della nuova alleanza e ripetono l’azione insondabile del Signore stesso. (…) Sì, degli uomini simili ad ogni altro, ma chiamati più d’ogni altro alla santità (…). Quale mistero in questo sacerdozio ininterrotto attraverso i secoli!”
(F. MAURIAC, Il Figlio dell’uomo)
Da prete mi viene chiesto di ricordare un prete…Non mi viene chiesto di esaltarne la figura, di enfatizzarne le gesta o di tesserne le lodi, mi viene chiesto semplicemente di ricordarlo, cioè di riportarlo al cuore di chi lo ha conosciuto perchè gli giunga ancora un’ eco e l’ebbrezza del suo appassionato passaggio su questa terra, e di chi non lo ha conosciuto perchè gli arrivi un semplicissimo tocco che susciti simpatia e curiosità per un uomo simile a tutti gli altri.
Già, don Antonio era questo: un uomo ordinario, simile a tutti gli altri, con il suo carico di debolezze e di forza, chiamato come ogni sacerdote a diventare il Cristo! Cosa volete che sia un prete? E cosa volete sia stato don Antonio nel tempo, per noi troppo breve, di una vita e di un sacerdozio consumati con un’energia impressionante? Di don Antonio ricordo queste due semplicissime coordinate: il suo essere un uomo simile a tutti gli altri ed il suo instancabile essere prete, altro Cristo in mezzo alla sua gente. E tra questa sua gente amo riconoscermi anch’io, come tanti sorrentini – e non solo – che hanno goduto della sua amicizia e del suo ministero di “servo buono e fedele”. Don Antonio, nel tempo gravido di attese del dopo Concilio, ha fatto di noi scugnizzi spensierati di quella stagione piccoli cantori della gloria di Dio, consegnando alla nostra giovinezza essenziale e ribelle il gusto di essere un gruppo di amici, di abitare gli spazi caldi e gioiosi di una parrocchia, di inebriare con il canto le solenni e austere mura di una cattedrale e, soprattutto, di gridare un canto di lode che superasse la nostra stessa umanità e che ci permettesse di agganciare la terra al Cielo.
Un uomo simile a tutti gli altri ma più d’ogni altro chiamato alla santità, un prete, don Antonio per noi è stato questo e in questa chiamata alla santità si è consumato nel crogiuolo di una sofferenza che non è stata infeconda se dopo oltre 40 anni questo tentativo di agganciare la terra al Cielo con il canto resiste e si rigenera in un ricordo che non indugia nella nostalgia.
E a quest’uomo, a questo prete paghiamo un piccolo debito di riconoscenza, soprattutto per il suo essersi consumato d’amore per noi, come il riverbero costante di un diapason che si mantiene fedele, tiene ferma e incrollabile una nota fino all’ultima vibrazione, perchè ad essa si appoggi il canto di molti.
don Carmine