La Storia

La Venerabile Congregazione dei Servi di Maria è una Confraternita laicale i cui associati hanno scelto di vivere più integralmente i dettami evangelici. Queste pie istituzioni, secondo molti storici, sono sorte con le prime comunità cristiane quando, anche a seguito della disgregazione del tessuto sociale, nacquero associazioni a carattere religioso-professionale con propri statuti, funzionari, propria cassa e proprie assemblee.

Le Autorità Ecclesiastiche inizialmente le osteggiarono, poi le tollerarono  ed infine le incoraggiarono. Comunque il periodo certo della loro origine si ritiene sia il Medioevo; infatti nel X° secolo le troviamo ovunque diffuse: in Francia, Germania, Spagna, Inghilterra ed Italia.

Gli  associati di queste pie istituzioni si assicuravano protezione, difesa, assistenza e dignità di vita.

Questi Sodalizi si possono distinguere in tre grandi famiglie:

• Le Confraternite di mestiere, a cui si iscrivevano i membri di una stessa professione.

• Le Confraternite di devozione, dipendenti dal Clero o Ordini Religiosi.

• Le Confraternite dei penitenti, dedicate ad azioni concrete come la lotta alle eresie, l’assistenza agli ammalati e l’aiuto al momento della morte, cioè le sei opere di carità Evangelica a cui si aggiunse poi anche la sepoltura dei morti.

Con il Concilio di Trento e l’operosità degli Ordini Religiosi, nel XVI secolo le Confraternite adattarono, alla necessità dei tempi, nuove forme caritative assumendo una serie di compiti sociali come la visita ai carcerati, l’accoglienza dei pellegrini, l’assistenza agli ammalati, la cura degli orfani e delle vedove, la sepoltura dei poveri, esercitando molto spesso “una funzione di supplenza nei confronti del Clero e dei Vescovi, insensibili a volte  ai nuovi compiti pastorali”.

Infatti, per la prima volta mediante queste istituzioni, il laicato ebbe una generale mobilitazione, favorita anche sia dalla concessione delle Indulgenze che dall’aggregazione alle Arciconfraternite romane che resero i confrati non soggetti passivi ma ferventi militanti che praticavano i nuovi impegni caritativi, devozionali e culturali, sui dettami delle predette Arciconfraternite romane.

Se l’inizio del 1700 vede  il punto più alto della loro diffusione sia nelle città, che nei borghi o nei piccoli centri rurali, nella seconda metà del secolo si assiste invece ad una lenta crisi, dovuta in parte alle nuove concezione dello Stato che avocava a sé il compito di promuovere, dirigere e spesso sopprimere le attività confraternali.

Ciò si verificherà specialmente in Italia con la politica attuata dal  nuovo Stato Sabaudo che, con la confisca di molti beni, costrinse le confraternite a restringere il loro spazio d’azione, perdendo così quella capacità aggregativa che le avevano distinte nei secoli precedenti.

Si estinsero così quasi tutte quelle Confraternite del filone caritativo, salvandosi solo quelle poche che avevano scopo preminente di culto, ed anche queste, dovettero adeguarsi ai voleri dei nuovi legislatori che imposero la revisione degli Statuti ed un  controllo periodico da parte  delle prefetture finché,  con il nuovo Concordato del 1929, le superstiti Confraternite passarono sotto il diretto controllo dei Vescovi continuando così a svolgere, con più libertà, anche se in tono minore, la loro opera apostolica, culturale e caritatevole.

 La Confraternita dei Servi di Maria venne fondata nel 1717 dal parroco della Cattedrale Can. Francesco Anton Ruocco, divenuto poi Vescovo di Capri, che volle riunire i fanciulli della Città di Sorrento in una istituzione dal titolo “Figliuoli o Schiavi di Maria” per assuefarli alle pratiche religiose affinché divenissero morigerati ed onesti.

Inizialmente l’istituzione, che da sempre il popolo sorrentino  chiama ” la Congrazionella”, non ebbe una sede stabile ma, trovò ospitalità in diverse chiese, prima quella di San Catello, poi nella Cappella della famiglia Vulcano in Largo Castello e successivamente nella Cappella di San Giovanni della famiglia Donnorso.

Infine l’Arcivescovo Filippo Anastasio donò alla predetta Istituzione la Cappella di S. Barnaba alle spalle della Cattedrale, che apparteneva alla famiglia Mastrogiudice, marchesi di San Mango, passata in seguito  all’Arcivescovo non avendo  Mastrogiudice eredi diretti.

L’atto di concessione venne stipulato nel 1722, con l’obbligo di chiudere la porta d’accesso dalla Cattedrale ed aprirne una nuova su Via Parsano (oggi via A. Sersale).

I Confratelli per restaurare ed abbellire tale Cappella spesero ben 210 ducati. Per l’occasione il pittore Nicola Malinconico dipinse il quadro dell’Assunta che fu posto sull’altare, mentre si deve alla generosità della Sig.ra Felice Simeoli il dono della bella statuetta lignea della Madonna, ricca di uno sfarzoso vestito interamente intessuto d’argento con ricami in oro e guarnita da pietre acquamarina, lapislazzuli, granati, e perle; lavoro unico esistente in Diocesi.

Nel Gennaio 1723, Papa Innocenzo XIII con propria Bolla, riconosceva ed arricchiva di molte Indulgenze la Congregazione dei “Figliuoli o Servi di Maria” sotto il titolo di “Nostra Signora Assunta in Cielo”. Ben presto la piccola Cappella non fu più sufficiente a contenere il gran numero di affiliati che partecipavano, assiduamente e con gran fervore, a tutte le pratiche religiose.

Più tardi il Canonico Giuseppe Corbo, Prefetto della Confraternita, avendo constatato l’esiguità della Cappella pensò di ampliarla comprando le  proprietà e giardini circostanti  con la somma di 15.000 ducati ricevuti dal Cardinale di Napoli, il sorrentino Antonino Sersale, che era stato uno dei primi “Figliuoli di Maria”.

Il 22 Agosto 1761 si diede inizio ai lavori che si completarono in soli sei anni.

Dopo molti contrasti sorti tra gli eredi del Can. Corbo, che nel frattempo era deceduto, finalmente la Chiesa fu completata e fu arricchita di uno splendido altare in marmi policromi,  con ai lati scolpito lo stemma di casa Sersale,  opera del celebre marmista napoletano Antonio Troccoli.

Inoltre fu adornata di fastosi rilievi in stucco lavoro del celebre maestro napoletano Cesare Starace, e di uno splendido pavimento in piastrelle di cotto in ceramica, in cui si alternavano,  tra grandi volute e cartigli, fantasiosi vasi di fiori e frutta, opera questa del noto artista Ignazio Chiaiese.

La Chiesa venne solennemente benedetta il 14 Agosto 1772.

Infine, nel 1774,  il Tempio si arricchì sia della grande pala dell’Assunzione di Maria al Cielo, felice schema compositivo opera dell’artista sorrentino Carlo Amalfi, rinomato pittore della corte Borbonica, sia del fastoso organo a sei registri del maestro napoletano Nicola Mancini.

In seguito alle  vicende giudiziarie sorte nuovamente con gli eredi Corbo, la Chiesa restò chiusa per ben tre anni, finché vinte tutte le pastoie burocratiche, il 2 Giugno 1778 giunse l’ordine reale di riapertura della “Congrazionella”  e, tra l’esultanza generale della fratellanza, giunse anche il reale decreto che riconosceva sia la fondazione che le sue regole.

In seguito, nel 1786, il pittore Carlo Amalfi completò l’esecuzione di altre dieci tele che furono collocate lungo le pareti della Chiesa.

Le tele che furono collocate  tra i grandi finestroni e le porte d’ingresso  raffigurano le fasi salienti della vita della Madonna  mentre, le quattro che adornano la cona dell’altare maggiore, raffigurano i tre arcangeli e l’ angelo custode.

Con questi lavori la Chiesa era finalmente completata ed i suoi Confratelli si  dedicarono, con maggiore impegno,  alle opere di apostolato e contemporaneamente, in una commovente gara di generosità, rifornirono il novello tempio di tutte le suppellettili, vasi sacri e sfarzosi paramenti.

Con la soppressione degli Ordini Religiosi decretata dal nuovo Governo Italiano con la Legge n°3036 del 7 Luglio 1866, la Confraternita, per non far disperdere un patrimonio artistico locale con grandi sacrifici comprò dal Demanio i due bellissimi confessionali in legno di noce artisticamente scolpiti, come pure il pulpito (1 2 3 45) lavoro di finissimo intaglio con pannelli riproducenti scene dell’Antico Testamento, opera del Gesuita Raffaele Russo e la tavola raffigurante la Comunione di San Stanislao opera di Lorenzo Giusto (1834), entrambi provenienti dal Convento di S.Vincenzo dei Padri Gesuiti.

Sempre nello stesso periodo venne acquistata dal Demanio la Biblioteca del soppresso Convento di San Francesco, composta da numerosi volumi di argomenti religiosi, che vanno dal 1500 al 1800 con interessanti manoscritti del 1400.

Ai Servi di Maria spettano grandi benemerenze per aver sempre salvaguardato parte del patrimonio storico artistico e religioso della città. Infatti ogni qualvolta che si presentava l’occasione di salvare qualche oggetto o mobile di un certo valore che stava per essere alienato, essi trovarono sempre il modo di farlo restare nel nostro territorio.

Ad  esempio, nel 1882,  fu  acquistato dagli eredi Stiffa,  l’artistico mobile del 1700, antica scaffalatura della Farmacia “Leone”,  trasformato poi in una biblioteca.

Nei primi decenni del regno d’Italia, le Confraternite fu continuamente messa a dura prova con  il rischio di essere eliminate.

Se le Confraternite si dedicavano ad opere caritatevoli come avevano sempre fatto, venivano assorbite nei nuovi enti civili costituiti, (Congrega di Carità poi E.C.A.).

Se invece non facevano beneficenza, venivano accusate d’inefficienza e quindi di essere inutili, e pertanto  andavano disciolte. Ma a tutte queste richieste i Servi di Maria, anche se ridotti numericamente, riuscirono sempre ad opporsi vanificando ogni  minaccia di soppressione.

Oggi i  Servi di Maria, in linea con i tempi,  hanno intrapreso nuove forme di apostolato attuando opportune iniziative finalizzate ad ottenere una  nuova ed adeguata formazione religiosa e pastorale, unitamente  ad un maggiore impegno sociale e culturale, sempre però  in armonia con gli antichi Statuti e in linea con i principi del Nuovo Codice di Diritto Canonico.

A cura di Pasquale Ferraiuolo

La Confraternita

Nel 1868, a seguito dell’apertura  della nuova strada che da Piazza Tasso porta a Massa Lubrense (attuale Corso Italia), venne demolita la vetusta Chiesa di San Catello sede della  Confraternita anch’essa dedicata al Santo Vescovo di Stabia. I nobili di San Catello chiesero ai Servi di Maria di essere accolti presso la loro sede; tale richiesta fu prontamente accolta da questi, memori dell’ospitalità ricevuta nel 1717 da quella nobile Arciconfraternita che, per fatale destino, dopo 150 anni, era anch’essa a chiedere ospitalità.

Quella di San Catello è la più antica Confraternita sorta a Sorrento ed ancora in vita; essa fu fondata nel 1380, dopo quella dei “Battenti di S. Antonino”. Infatti da una relazione del 1650 si legge: “questa Compagnia di San Catello nelle Processioni cede il luogo alla sola Congrega di Sant’Antonino e all’esequie non cede il luogo che al solo Capitolo”.

Questo pio Sodalizio, a cui potevano far parte solo gli ecclesiastici ed i nobili, nel 1586 chiese l’aggregazione all’Arciconfraternita romana di Morte ed Orazione e sull’esempio di questa, iniziò a dedicarsi al pietoso ufficio di accompagnare e dare cristiana sepoltura ai naufraghi portati dal mare, ai poveri e a quanti venivano trovati uccisi fuori dalle mura cittadine; per tale ufficio essi lasciarono il bianco sacco per vestire quello nero.

Le fonti storiche riportano che la Confraternita di San Catello era solita,  la sera del Giovedì Santo, “assaccati e coi lumi accessi” si recarsi  per la visita dei “Sepolcri” allestiti nelle diverse chiese ove, dopo l’adorazione, venivano tenuti sermoni di circostanza al popolo. Al termine di questa processione, ritornati nella propria Chiesa, i Confrati si disponevano seduti intorno all’altare dove il Priore esercitava il “Mandato”, lavando loro i piedi, come aveva fatto Cristo nell’Ultima Cena. Al termine di tale suggestiva cerimonia, veniva distribuito ad ogni confratello, un pane benedetto che veniva consumato poi da tutta la famiglia durante il pranzo di Pasqua. In seguito all’ aggregazione all’ Arciconfraternita Madre di Roma, i nobili di San Catello,  sull’esempio di questa, “assaccati di nero coi lumi in mano sul far della sera” uscivano in processione il Venerdì Santo, recando una spoglia Croce tra la lancia e la spugna,  visitando al canto del “Miserere” i vari monasteri della città, ove un sacerdote teneva i discorsi sulla Passione. In tal modo decadde l’usanza di uscire processionalmente la sera del Giovedì Santo.

In seguito, ma non sappiamo con certezza quando, comparve anche il simulacro del Cristo Morto ed i simboli della Passione come il sudario, la colonna, la corona di spine e gli altri martiri, con lo scopo di far meditare sia i partecipanti incappucciati che il popolo sulle sofferenze patite da Cristo.

Questo genere di processione, importato dalla Spagna nel secolo XVI, venne molto propagandato nel regno di Napoli dai Padri Gesuiti.

Successivamente, verso il 1700,  alla processione si aggiunse anche il simulacro della Madonna Addolorata.

Con la venuta nella Chiesa dei Servi di Maria i Confrati di San Catello  cercarono di salvare tutto ciò che restava delle preziose ed antiche suppellettili, dei quadri ed arredi, nonché le statue lignee del Cristo Morto,  della Madonna Addolorata e di San Catello, mentre andarono completamente distrutte tutte le statue dei santi, lavori di finissimo stucco opera dei celebri artisti Vaccaro di cui la chiesa era adorna. Per l’armonia tra i due Sodalizi, nel 1869,  si decise che tutti coloro che entravano a far parte dei Servi di Maria fossero automaticamente iscritti anche all’Arciconfraternita di San Catello e della Morte.

Un breve cenno è doveroso fare sulla statua del Cristo Morto che raccoglie l’immensa venerazione di tutti i sorrentini.

Di questa statua lignea del Cristo, giacente su un sudario in espressione di doloroso abbandono, vera opera d’arte, s’ignora sia l’autore che la data di acquisto (secolo XVI).

Una pia tradizione vuole che un nobile cavaliere, ingiustamente accusato di lesa maestà, si sia rifugiato nella Chiesa di S.Catello chiedendo a quei nobili confrati  diritto d’asilo.  Accolto da questi,  per implorare il perdono divino e la grazia che fosse riconosciuta la sua innocenza e in ringraziamento dell’ospitalità e del vitto ricevuto, scolpì tale opera. Al termine del lavoro, miracolosamente gli venne riconosciuta la propria innocenza.

“Certamente l’autore della  statua non era uno sprovveduto ma un’artista che si ispirò al Cristo della Pietà di Michelangelo” (Reddig De Campus).

Un’altra importante processione organizzata dall’’Arciconfraternita  era quella del SS. Sacramento che si teneva all’ottava del Corpus Domini,  che il popolo chiamava “festa degli Altari”. In tale occasione venivano allestiti,  dagli abitanti dei tre rioni (borgo, marcato e sedil Dominova), tre grandi altari con tappeti di fiori e segatura colorata. In seguito alla demolizione della chiesa di San Catello, tale manifestazione venne curata ed organizzata dalla parrocchia della Cattedrale.

Da un registro risalente al periodo  che va dal 1604 al 1612 è riportato che  l’elezione degli amministratori avveniva ogni anno il martedì dopo Pasqua, che il Priore doveva essere sempre un ecclesiastico mentre i tre assistenti due dovevano essere nobili in rappresentanza dei rispettivi “sedili” mentre il terzo doveva essere un rappresentante “della piazza del popolo”.

In quel tempo era consuetudine che, durante i venerdì di Quaresima, i Confratelli di S. Catello si riunivano in chiesa  al Vespro, cantando salmi  penitenziali e, al termine, il Priore ordinava lo spegnimento delle candele ed ognuno  si flagellava tra il pianto del popolo che  accorreva numeroso.

Oltre alla festa di San Catello la Confraternita organizzava  le annuali Sante Quarant’ore, come prescrivevano le regole della Confraternita madre di Roma.

Anche in occasione del Natale veniva allestito il  Mistero della Natività. Infatti, miracolosamente,  ci sono  pervenute due rarissime statuette presepiali  lignee del 1400 dei fratelli Alemanno,  unici esempi oggi esistenti nel napoletano.

Altra attività che venivano svolte dai  nobili Confratelli erano il gratuito accompagnamento funebre dei poveri, l’assistenza ai condannati a morte e, tra le tante opere benefiche,  vi era anche l’annuale assegnazione di maritaggi alle giovani povere, prossime al matrimonio.

Con la venuta nella chiesa dei Servi di Maria la vita della Confraternita di S. Catello, anche se in tono minore,  riprese con regolarità e,  tra le sue molteplici manifestazioni è giunta integra fino a noi,  la processione del Cristo morto del Venerdì Santo.

“Questa partecipazione corale che è poi la coscienza di sentimenti comuni e di esperienze sofferte, evoca accenti diversi sui frammenti di una tradizione raccontata a più voci, da cui traspare anzitutto il temperamento e non soltanto le emozioni popolare.”

A cura di Pasquale Ferraiuolo

La visita

La costruzione della nuova chiesa dei Servi di Maria iniziata nel 1761 e terminata nel 1778,  è ad una sola navata ricca di rilievi di stucchi barocchi opera del napoletano Cesare Starace (1773), vi si accede attraverso una scala marmorea a due braccia, arricchita da due grosse tele di F. De Sanctis (1602) che rappresentano S.Marco Evangelista e San Carlo Borromeo, dall’antico quadro dell’Assunta di Nicola Malinconico (1723), il tondo centrale dell’Eterno Padre in Gloria e la piccola scultura marmorea del Cristo morto, opera del celebre Sammartino.

La scalinata porta ad un ampio vestibolo (a cavallo della sottostante strada) ove sono posti:  due pannelli maiolicati provenienti dall’antico pavimento della chiesa, opera di Ignazio Chiaiese (1774); la tela di S. Stanislao Kostka di Lorenzo Giusto (1834) e la statua lignea interamente dorata di S. Catello (1600).

Attraverso due ingressi si passa al Sacro Tempio ove, sull’altare marmoreo, opera dell’artista napoletano Antonio Troccoli (1772), troneggia il grande quadro dell’Assunta (1774); la Vergine è raffigurata al centro della composizione e in basso si notano i Santi Apostoli disposti intorno al Sepolcro.

Nel presbiterio si possono ammirare altre quattro tele più piccole raffiguranti gli Arcangeli (San Raffaele,  San Michele,  San Gabriele) e l’Angelo custode. Lungo le pareti della chiesa si ammirano altre sei tele che raffigurano altrettante feste della Madonna (Immacolata Concenzione, Nascita della Madonna, Madonna al Tempio, Annunciazione di Maria, Maria in visita a S. Elisabetta, Maria presenta Gesù al Tempio, Assunzione di Maria al Cielo). Tutti questi quadri sono opera di Carlo Amalfi (1780 – 1787);  interessanti, ai lati dell’altare, sono sia il presepe con pastori del 1700, che la cappellina dedicata alla Sacra Famiglia, con statuette del 1600 ed alcuni reliquiari. Sulla cantoria, in alto entrando, vi è un grazioso organo dipinto con motivi floreali e impreziosito da intagli e cimase di legno dorato, opera del napoletano Nicola Mancini (1773),  recentemente restaurato dalla ditta ARS Organi di Foligno.

Nel corridoio che conduce alla Sagrestia sono sistemati molti quadri, maioliche, documenti e carte geografiche francesi del 1700 oltre a diverse suppellettili. Nelle sale successive si trovano i libri dell’antica biblioteca dei francescani, con manoscritti del 1400 e interessanti volumi che vanno dal 1500 al 1800, acquistati dal dal demanio nel 1860.

Inoltre si ammirano   quadri raffiguranti i Padri fondatori, Vescovi e Canonici sorrentini; infine la graziosa statuetta dell’Assunta  (1700)  una sfarzosa veste intessuta d’argento con ricami in oro e guarnita da perline, granati e lapislazzuli, unico lavoro del genere che si trova in Diocesi. Nella vetrina centrale sono posti oltre ai vari reliquiari, anche molte suppellettili sacre in argento, sia del 1700 che del 1800.

Di notevole interesse le due statuine in legno della Madonna e San Giuseppe “esempio di pastori che incominciarono ad apparire nella chiese e oratori del napoletano verso la fine del 1300″ (G. Borrelli). Nel salone Capitolare si ammirano: la grande biblioteca sistemata nella scaffalatura settecentesca dell’antica farmacia “Leone”;  numerosi quadri attribuiti a F .Greco, Ribera, G.B. Lama e C. Amalfi; consolles in legno intagliato e dorato del 1700 e statue lignee di santi del 1600 e 1700. Nella vetrinetta centrale sono posti preziosi calici, ostensori, pissidi e messali rilegati in argento sempre del 1700 e del 1800; di notevole interesse il pavimento maiolicato opera di Ignazio Chiaiese (1774) che anticamente adornava il presbiterio ed ancora la grande tela raffigurante Sant’Antonino e San Catello, che era la pala dell’altare dell’antica chiesa di San Catello. Nel quadro si nota sullo sfondo il panorama di Sorrento e in basso i Confratelli dell’Arciconfraternita della Morte.

Nella Sagrestia vi sono mobili di finissima radica di noce (1600), statuette lignee di santi del 1700 ed una preziosa statua lignea spagnola dell’Addolorata (1600). In una grande vetrina si ammirano diversi paramenti sacri  in seta,  damaschi veneziani o di San Leucio,  riccamente ricamati in oro e argento risalenti al periodo che va dal 1600 al 1800,  unici per ricchezza e fantasia, perfettamente conservati.

Alle pareti diversi quadri, tra cui due  di Francesco De Mura ed una tela d’ignoto, raffigurante “L’Ecce Homo” (1700).

A cura di Pasquale Ferraiuolo